L'Onagro Maestro
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::TRANSOXIANA::

Danni ANTONELLO

Il vizio della liberta'


Caro Maestro,

prometto, non seguirò più l'ombra di troppa luce che fino a ieri incontravo qualsiasi strada prendessi. Oggi conosco il miele che fu veleno, oggi uccido mio padre per serbare di lui soltanto il seme che mi generò e non il nome che mi ha dato per avermi suo. Abbandono la certezza del conosciuto e del sentiero battuto, parto come l'altro dalle mani grandi e callose per l'Abissinia, in cerca di verginità da stroncare con la mannaia; ho smesso di credere, mio solo credo sarà l'errare.

Mi do alla fame e all'insidia della palude che lei un giorno mi ha detto esistere in quel luogo sommerso non ancora segnato in alcuna mappa. Forse troverò lì la pietra che rende l'uomo illuso d'eternità. Forse un alchimista, o forse un cialtrone o un merlino ingannatore l'hanno posata lì, in attesa che un rinnegato nella sua fuga scoprisse in un sasso l'ambito segreto che scoglie la leggerezza piombata del dubbio. Riuscirò a trasformare il piombo in oro e quell'oro lo getterò dal ponte di qualche nave all'oblio dell'insignificanza che il fondo del mare custodisce. Nessuno arriverà fin lì a raccogliere il prodigio che era nelle mie mani, le sue mani, l'arte del fabbricante di nuvole, il cielo capovolto e rifiutato, gettato in fondo al mare. Hanno detto che qualcuno al tempo dei miracoli camminava sopra le acque e parlava di padri onnipotenti, noi non abbiamo creduto; al martello di Vulcano, alle sue fiamme e agli schiavi che le fabbricavano, a loro sì, forse a loro abbiamo creduto. E abbiamo sbagliato. Così come oggi io rinnego la verità che lei mi ha mostrato, nessuna verità nessuna certezza avremmo dovuto curare.

Le piaghe ai piedi dei viandanti condannati all'esilio, l'impossibilità di qualunque redenzione, l'incarnata mendicità del poeta che canta per non morire, e canta per morire, l'incuranza del cielo immobile guardone, niente di più, tutto il nostro niente.

* * *

La pureté d'un révolution peut se maintenir quinze jours. Voilà pourquoi, révolutionnaire dans l'âme, un poète se limite aux volte-face de l'esprit.

J. Cocteau

Non può sentire, non ci riesce, questo egoista sordo al mondo che al mondo chiede soltanto di ascoltare, l'unica profezia è la sua, l'unica verità valida, non accetta certezze ma impone la propria; totalitarista della sua incertezza è davvero un usurpatore di stabilità altrui questo eterno sofferente mancante in ogni mancanza a parte quella che della mancanza trama l'elogio, la santificazione, la gloria terrena e immortale: illusoria. Non sa accettare che qualcun altro esista e reclami il diritto alla sua esistenza, come se tutto dipendesse dalla sua volontà, come se tutto trovasse la propria dignità dal suo, di lui tiranno, volerla concedere. Non c'è democrazia, nessun compromesso secondo il poeta, se non quella che nasce soltanto in grembo all'irrazionalità e all'oltranza, della sfida, della provocazione. E' una bestemmia la ragione di chi ragione non accetta, come se la musica delle parole potesse giustificare la loro inconcretezza. Parole che implorano, esigono, comandano giustificazione. Di più, fede. Richiesta che appartiene all'impero dell'estremismo, della verità che si impone, che non ammette dubbio, la stessa verità che il poeta rifiutava categoricamente, ma a cui ritorna guarda caso nel momento in cui a venir messa in discussione è la sua sublime sensibilità, il suo fragile diritto alla sofferenza. Proprio lui, che si era proposto come nume tutelare dell'impossibilità di imporre alcunché, si mostra in tutta la sua incapacitàdi accettazione dell'altro da sé, un perfetto tiranno, sipotrebbe dire, se non che egli giustifica la propria dittatura con lamigliore delle sentenze: “non posso farne a meno”, sembra dire,“ne va della mia vita, questa montagna di silenzio che mi sovrastaè il prezzo che devo pagare per poter parlare, non mi èpermesso cantare al mondo se non in veste di guida, di guardianosacrificatore e sacrificato”. E' un boia il più imparzialedei giudici, il suo è un verdetto senza possibilità diricorso in appello, il fatto stesso di impersonare la voce del mondocomporta che egli sia di tale mondo l'unica redenzione e l'unicocastigo. Tanta relatività ideologica finisce per combaciarecon il massimo dell'intolleranza (per amor degli assoluti), inaltre parole, rifiutò la divinità per diventare eglistesso divinità, ovvero, la critica al potere coincide con lanecessità di usurpare il trono del potere spodestato. Ildifensore della libertà si mostra così come discepolodel vizio della libertà: la propria. Figlio del vecchioPrometeo il poeta ruba il sacro fuoco in nome di se stesso, colui cherinnegava la divinità e nel suo estremismo persino lasbeffeggiava è pronto ora a impadronirsi del trono del dio cheha assassinato e a ristabilire l'ordine di comando. Servo dellalogica che aveva rifiutato, ribelle un po' angelo un po' clown, non è stato in grado di educarsi all'idea della liberazione collettiva, ma soltanto a quella della libertà individuale, come si diceva in passate seduzioni marxiste, non la rivoluzione ma la rivolta. Il più fragile tra gli uomini dimostra forse che tutto ciò che può fare è distruggere – “Il faut tout casser” – e che la ricostruzione non gli spetta. Eresia incorruttibilmente adolescenziale, quella del lirico puro è una meteora sfuggita a controlli e previsioni di qualsiasi catastrofe; Pierrot indifeso per tanta troppa tristezza, l'infante già vecchio visto da Watteau, lancia le pietre e quando non nasconde la mano grida in pubblica piazza di essere lui il colpevole, lo ha fatto perché stava scritto, da qualche parte nel suo destino stava scritto, che la santità è martirio e che la storia vuole dei capri espiatori, qualcuno che porti la bandiera alla testa del corteo.

Eresie

Noi prima prole dei nati di fame

arterie di un cuore che è forca e dialetto

non rimettiamo i nostri debiti

e ancora chiediamo giustizia.

 

Bei figli dagli occhi di ghiaccio

Sarajevo è lontana, le pietre

sono la casa, di fango l'unica strada,

madre balcanica sopravvissuta

guarda di là della montagna.

 

Pava nel secolo migrante

tra il Prà il Portello e una fisarmonica

stona la grazia del valzer moldavo

venduto da uno tzigano

per un fiasco d'aceto ed un confine.

 

Venezia Parigi ne se jeter pas de la fenêtre,

non è treno per i suicidi questo notturno,

troppo tranquillo crepare di notte, al buio;

in piazza, di fronte al mondo, bronzi

e magnifici muoiono gli eroi.

 

Inizia da sopra i tetti di Mala Strana

l'incantata corte dei nati di luce,

cavalieri privi di spada o destriero

custodi del sonno di Hrabal bambino

di Praha,

mai hanno dormito, per stare,

sopra i camini di Mala Strana,

a vegliare.